mercoledì 27 gennaio 2010

Lingue Straniere

Fra le tante cose che non riesco a capire del modo in cui funziona la lingua italiana, c'è la questione della pronuncia dei nomi stranieri. Ora, tutti sanno che alcune lingue straniere, per ovvie ragioni linguistiche, storiche e culturali, sono più o meno familiari di altre.

Riguardo a quelle più familiari, come l'inglese, il francese, lo spagnolo e il tedesco, la prassi comune in Italia è quella di pronunciarne i nomi nella maniera più aderente possibile al modo originale. Certo, anche chi conosce perfettamente la lingua in questione, onde evitare un fastidiosissimo effetto di superbia e affettazione, difficilmente parlando in italiano pronuncerà il nome come se stesse parlando ad esempio in inglese, ma comunque tenterà di avvicinarsi il più possibile alla pronuncia corretta.

Per quanto riguarda le lingue più esotiche, in genere si tende ad allineare la pronuncia secondo gli standard internazionali originati dalla grafia o dalla traslitterazione e diffusi dal giornalismo. A volte, come ad esempio avviene per i nomi cinesi o quelli turchi, ci si allontana anche di molto dal suono originale, ma la cosa però ampiamente comprensibile per via del fatto che la pronuncia originale è assai raramente conosciuta e colori i quali pronunciano erroneamente i nomi esotici lo fanno in modo inconsapevole e sono in genere dispostissimi a correggersi una volta conosciuta la pronuncia corretta.

L'approccio degli italiani quindi, che si tratti di nomi provenienti da lingue familiari o esotiche è il medesimo: si cerca di pronunciarli nel modo in cui si pronuncia nella lingua del paese di provenienza, compatibilmente con le proprie conoscenze della lingua (e di quelle degli interlocutori) e con la fonologia della lingua italiana.

Con la vastità che il fenomeno migratorio ha avuto nei secoli, capita con grandissima frequenza di avere a che fare nomi provenienti in origine da un determinato paese, ma che appartengono a persone che parlano una lingua differente da quella del paese in questione. Abbiamo ad esempio brasiliani madrelingua portoghese che portano un cognome tedesco, americani madrelingua inglese con un cognome polacco, madrelingua francesi con cognome nome africano e via dicendo. Ebbene qui l'atteggiamento italiano si trova di fronte a un dilemma: occorre pronunciare i cognomi in questione conformemente alle regole della lingua di origine o invece secondo i criteri della lingua parlata da chi tale cognome si porta appresso? La risposta che generalmente la lingua italiana dà, a patto di conoscere l'origine del cognome, è la prima.

Infatti. quando un cognome viene riconosciuto come tedesco, lo si pronuncia alla tedesca anche se appartiene a un americano, come ad esempio quello dell'attore Harvey Keitel che viene normalmente pronunciato “Kaitel” anziché “Kitel”, come lo pronunciano gli americani e probabilmente anche lui stesso. Capita spesso che la cosa non si verifichi, ma di solito la cosa è dovuta all'ignoranza della provenienza originaria e non a una volontà precisa. Trovo pertanto che in generale di fronte a questo problema, a meno che non si sia cristallizzato un uso differente, gli italiani si comportino adottando il criterio filologico. Certo si tratta di un criterio discutibile finché si vuole, ma è pur sempre un criterio che se applicato con coerenza ha la sua ragion d'essere, ed è coerentemente applicato anche quando si ha a che fare con italiani che portano un cognome straniero.

Decisamente schizofrenico è invece il trattamento che nel nostro paese si riserva ai cognomi dei moltissimi oriundi italiani sparsi per il mondo. Se infatti il cognome delle numerose personalità italoamericane viene sempre pronunciato all'italiana, quando si ha a che fare con un francese di origine italiana ecco che il cognome acquista l'accento sulla sillaba finale ed abbiamo i vari Michel Piccolì, Jean-Paul Belmondò etc. Lo stesso accade ultimamente anche per gli oriundi italiani in Sudamerica, con effetti a mio avviso decisamente comici: nelle telecronache calcistiche infatti Javier Zanetti essendo argentino diventa “Sanetti”, mentre l'omonimo Cristiano, suo ex compagno di squadra e pertanto spesso nominato nel medesimo contesto, in virtù della sua cittadinanza italiana può conservare la Z.
Questo comportamento quindi rappresenta un'eccezione al criterio filologico, ed è inoltre un'eccezione incoerente in sé stessa, perché non si applica verso i cognomi di origine italiana provenienti da qualsiasi paese estero, ma solo in alcuni casi.

La ragione di tutto ciò mi è del tutto oscura. Vista l'incoerenza interna all'eccezione, non può reggere la consueta accusa di esterofilia, perché altrimenti non continueremmo a chiamare Stallone il buon Sylvester, ma come gli americani diremmo “Stallòun”, eppure qualche ragione ci deve essere. Insomma, questo articolo non sviluppa una tesi ma si ferma prima, evidenziando un dubbio e ponendo un problema.