lunedì 1 febbraio 2010

stadi a prova di violenza

L'architetto Gino Zavanella ha scritto un libro in cui parla del modo in cui a suo parere vadano costruiti gli stadi, ossia ponendo al centro l'uomo spettatore, tentando di rendere possibile che l'avvenimento sportivo sia un momento di elevazione spirituale per coloro che vi assistono. Questa sua posizione è messa da lui stesso in contrasto con l'attuale "lagerizzazione" degli stadi, che per la violenza che ivi spessissimo alberga, sono armai divenuti più simili a carceri o caserme. Insomma, come molti architetti è convinto che la corretta progettazione degli ambienti possa influenzare il comportamento umano e in linea di massima lo penso anche io, ma non nel caso della violenza negli stadi in occasione di partite di calcio.

I nostri stadi vengono utilizzati per ospitare manifestazioni sportive e musicali. Nei casi delle seconde di violenza non si parla mai. Certo qualche incidente a un concerto può sempre succedere, ma appunto di incidente si tratta, non certo di scontri fra gruppi organizzati che vanno allo stadio appositamente per cercfare lo scontro. Ed è questo che avviene nelle partite di calcio.

Ora, qualcuno potrebbe già notare che nelle numerose manifestazioni sportive che avvengono negli stadi (atletica, rugby, calcio) e nei palazzetti che, a parte la drandezza sono di struttura analoga, la violenza si verifica solamente nell'ambito delle manifestazioni calcistiche e che quindi la colpa di tutto ciò non può essere in nessun caso imputata al modo in cui gli stadi sono progettati. Se nello stesso stadio, avvengono sia partite di calcio che di rugby e se le violenze avvengono solo nel caso del calcio la colpa sarà evidentemente di questo sport. E invece no. O meglio, non del calcio in sé.

Le manifestazioni che avvengono negli stadi, sono composte da due elementi principali: il pubblico e gli attori. Questi ultimi agiscono in contesti semplici, molteplici o duplici e il pubblico prende forma di conseguenza.

Nel primo caso abbiamo le esibizioni, come i concerti o gli spettacoli come ad esempio le cerimonie di apertura delle olimpiadi. In questo caso abbiamo un unico attore, anche se complesso e un pubblico che assiste alla sua azione. Il singolo componente del pubblico può personalmente apprezzare o meno l'esibizione, ma nel suo insieme il pubblico rimarrà compatto. Al massimo ci saranno cenni di dissenso con l'attore, ma il rapporto rimane tra quest'ultimo e il pubblico.

Nel secondo caso abbiamo le gare, come quelle di atletica o di ciclismo su pista. Qui abbiamo una situazione in cui gli attori gareggiano in un susseguirsi di eventi slegati fra loro, all'interno di ognno dei quali ciascun atleta concorre contro tutti gli altri, creando quindi una molteplicità che si riflette sul pubblico frazionandolo fra chi predilige il tale atleta, chi la tale specialità, chi parteggia per la competizione in generale, chi si annoia e via dicendo. Per questa ragione il pubblico è talmente frazionato da essere una massa quasi informe. Non c'è più come nel caso delle esibizioni un rapporto fra attore e pubblico, ma una miriade di rapporti particolari che si perdono nel caos generale.

Il terzo caso è invece quello degli sport di squadra. In questi sport abbiamo appunto due attori, le squadre, che competono tra loro per la vittoria in un evento singolo. Tutto il pubblico quindi conviene per assistere a un unico evento, che vedrà la vittoria di un'attore o dell'altro, o in alcuni casi il pareggio. E' quindi ovvio che il pubblico si dividerà in due parti compatte, ognuna delle quali si identificherà con una delle due squadre. La rivalità fra gli attori si riflette quindi sul pubblico e se gli sport di squadra non sono altro che semplificazioni della guerra, dove l'obbiettivo è la conquista del campo avversario, niente di più facile che tale guerra si riproponga sugli spalti.

A questo punto però si ritorna al punto di prima. Fra tutte le manifestazioni sportive a squadre, è col calcio che di gran lunga si assiste a episodi di violenza. Ma questo non dipende dallo sport. La ragione sta solamente nel fatto che si tratta dello sport magguiormente seguito e nel quale ci si identifica in misura maggiore. Gli scontri e la violenza non sono altro che l'estremizzazione degli stessi fenomeni che si verificano a una partita di pallacanestro o pallavolo: esultanze, cori, sfottò. Nel calcio tutto ciò avviene amplificato alla massima potenza e non ci vuole molto a capire che il coro di incitamento, il coro di irrisione, il coro insultante e la rissa a bottigliate sono solamente quattro gradini diversi della stessa scala: la scala dello scontro. Se per qualche ragione il calcio perdesse di popolarità a discapito del rugby o della pallacanestro, le risse fra ultrà si vedrebbero alle partite di questi sport e magari il calcio diverrebbe uno sport di sano e maschio agonismo come il rugby è oggi.

Per tornare al punto di partenza quindi, nonostante le buone intenzioni di Zavanella, perché la classica (e inesistente) famigliola possa andare felice allo stadio senza pericolo per i pargoli, occorre che questa vada a vedere un bel concerto o un meeting di atletica. Nel caso dello sport di squadra più popolare del momento, non c'è architettura che tenga; la tensione e gli scontri ci saranno sempre.